Polemiche culinarie: i Boni contro l’Artusi

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La storia della Gastronomia è ricca di genio, invenzioni, arditi accostamenti, coraggiose sperimentazioni e… Accanite polemiche!
Una delle più interessanti e feroci dispute vide protagonisti proprio gli autori dei due ricettari moderni più stampati e ristampati: l’Artusi e Enrico Boni, marito della grande Ada, autrice – fra gli altri – del Talismano della felicità, libro feticcio delle massaie italiane per tutto il Novecento.

Ecco cosa pensavano i coniugi Boni del grande forlivese, direttamente dalla prefazione dell’edizione del 1929 del Talismano:

Il Talismano della Felicità
Il Talismano della Felicità
Ritratto di Ada Boni
Ritratto di Ada Boni
Ritratto di Pellegrino Artusi
Ritratto di Pellegrino Artusi

L’autore che riuscì invece a vendere stracci e orpelli per sete rare e oro fu Pellegrino Artusi, nume custode di quelle famiglie dove non si sa cucinare. Per taluni tutto ciò che dice l’Artusi è vangelo, anche quando questo ineffabile autore scrive con olimpica indifferenza le sciocchezze più madornali. Anzitutto egli dichiara di essere un dilettante e di aver provato le sue ricette alla sazietà, fino a che gli riuscirono bene, o meglio sembrò a lui che riuscissero tali. Egli fa un edificante preambolo che suona presso a poco così: Guardate, io non so cucinare, tanto vero che i cuochi preparano le ricette che io insegno in un modo completamente diverso. Però dopo una serie di tentativi sono riuscito ad ottenere qualche risultato, ed anche voi, un po’ con la mia guida (!) un po’ con la vostra pazienza, può darsi che riusciate “ad annaspar qualche cosa”.

Ed allora verrebbe voglia di chiedere a questo signor Artusi perché mai stando le cose così, egli si mise ad insegnare una disciplina di cui non conosceva neanche i principii. Il guaio è che, fedele alle premesse, l’Autore non esita nel suo volume – che infiora di aneddoti di uno spirito irresistibile – ad esporre delle ricette in aperta antitesi con i canoni fondamentali dell’arte della cucina. Denominazioni cervellotiche, traduzioni italiane di parole tecniche francesi da far accapponare la pelle, evangelica dosatura delle ricette – c’è ad esempio un pasticcio per 20 persone preparato con mezza lepre – assoluta irrazionalità di procedimenti: tutto questo, ed altro ancora che all’occorrenza potremmo esaurientemente documentare, fanno del volume in questione un’opera unica nel suo genere, che potrebbe definirsi l’umoristico capolavoro della incompetenza culinaria. Ma anche questo, che potrebbe chiamarsi “il fenomeno Artusi”, e che costituì una colossale montatura a chi sa perché si prestarono in piena buona fede anche delle persone intelligenti…”.

Pura e semplice invidia o sotto le parole del Boni si cela anche qualche verità?

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