Fra le nuove acquisizioni provenienti dalla dispersione della raccolta di Jacques ed Helene Bon (1) ed ora conservate nella collezione di testi antichi di cucina e gastronomia del Garum, spicca la seconda rarissima edizione del Commentario de le piu notabili, & mostruose cose d’Italia, opera di quell’importante umanista dall’altissimo ingegno che fu Ortensio Lando e stampata nel 1550 (2). Per la vita, le opere e il pensiero del Lando rimandiamo alla nota precedente, ma bisogna qui ricordare almeno che egli fu il primo traduttore italiano dell’Utopia di Thomas Moore. E proprio dagli stilemi del genere utopico – il viaggiatore e narratore dietro cui si cela il Lando è un giovane ed imbrobabile arameo, cittadino dell’Isola degli Sperduti, che, guidato da un fiorentino proveniente dalla Terra di Utopia, si appresta a conoscere le realtà delle città italiane – nasce quest’operetta che si configura come una vera e propria guida di viaggio in Italia con notizie etniche, sociali e gastronomiche estremamente eterogenee, con particolare attenzione alle curiosità ed una particolare libertà di fantasia.
Nelle carte 4v-7v il Lando immagina un colloquio fra il viaggiatore ed un oste che lo alberga nel quale quest’ultimo, con sentimento di vera invidia nei confronti del giovane arameo, decanta le delicatezze e le bontà che avrà modo di assaggiare nel suo viaggio per la Penisola. Queste pagine rappresentano la prima guida di viaggio eno-gastronomico mai scritta per l’Italia e ci restituiscono l’immagine d’un paese sì frammentato, ma ben consapevole dei prodotti e delle specificità eno-gastronomiche. Se Messisbugo infatti, nel suo pressoché coevo Libro de’ Banchetti, stampato per la prima volta nel 1549 (3), rimanda a sole poche specifiche locali per i suoi piatti – e quasi tutte di ambito padano – qui la situazione è completamente differente: l’elenco è lunghissimo, e piatti e ingredienti appaiono ben radicati nel territorio ed anche nella conoscenza generale del lettore: già nella scelta della lingua e del medium librario – il volgare e non il latino dei sapienti, il pamphlet e non il trattato – il Lando sceglie il suo pubblico di lettori che è quello più vasto possibile ed è ad esso ed ai suoi riferimenti ed archetipi che questa guida enogastronomica parla e si fa riconoscere.
Ci spieghiamo meglio: quando il Lando parla di ‘percoche da far risuscitare li morti’ a Napoli, appare evidente che tale concetto dovesse essere piuttosto familiare ai suoi lettori almeno quanto i cliché e gli stereotipi culturali di cui l’autore infarcisce il suo Commentario, a partire dai proverbi quali ‘Guardati da Lombardo calvo, Toscano losco, Napolitano biondo, Siciliano rosso, Romagnuolo ricciuto, Vinitiano guercio & marchegiano zoppo’, o ancora ‘Chi vuol provar l’inferno l’estate in Puglia, & nell’Abruzzo il verno’.
Ma andiamolo a vedere nelle vive parole dei consigli dell’oste:
‘nella ricca Isola di Sicilia, ma[n]gerai di que maccheroni i quali hanno preso il nome dal beatificare (4): soglionsi cuocere insieme con grassi capponi, & caci freschi da ogni lato stillanti buttiro & latte, & larga mano vi soprapongono zucchero & canella della più fina che trovar si possa…
Sel ti vien commodo di fare la Quaresima in Taranto, tu diventerai più largo che longo, tanta è la bontà di que pesci, oltre che li cucinano, & con l’aceto, & col vino, con certe herbicine odorifere, & con alcuni saporetti di noci, aglio & mandole…
Mangerai in Napoli quel pane di puccia bianco nel più eccellente grado, dirai questo è veramente il pane che gustano gli Agnoli in paradiso: oltre quel di puccia, vi se ne fa d’un’altra sorte detto pane di S.Antemo in forma di diadema, & è tale che chi vi desidera con esso companatico, è ben re di golosi: mangerai vitella di Surrento, la quale si strugge in bocca con maggior diletto che non fa il zucchero, et che maraviglia è se è di si grato sapore, poi che non si cibano gli armenti d’altro che di serpillo, nepitella, rosmarino, spico, maggiorana, citornella, menta, & altre simili herbe, tu sguzzerai con que caci cavallucci freschi, arrostiti non con lento foco, ma prestissimo, con
sopraveste di zucchero & cinamomo. Io mi strugo sol a pensarvi: vedrai in Napoli la Loggia detta per sopranome de Genovesi, piena di tutte quelle buone cose che per ungere la gola desiderar si possano, mangerai in Napoli di susameli, mostacciuoli, raffioli, pesci, funghi, castagni di zucchero, schiacciate di mandole, pasta reale, conserve rosate, bianco mangiare… e percoche da far risuscitar i morti…
Mannucherai in Siena ottimi marzapani, gratissimi bericoccoli, & saporitissimi ravagiuoli
Se n’andassi in Foligno assaggiareste seme di popone confetto, piccicata, & altre confetture senza paragone
Troverai in Firenze Caci mazolini, oh che dolce vivanda, o che grato sapore ti lasciano in bocca; dirai io non vorrei esser morto per milanta scudi senza haver provato si dilicato cibo; mangerai del pane pepato, berlingozzi à centinaia, zuccherini à migliaia, & berai del trebbiano non inferiore al Greco di Somma.
Vatene à Pisa dove si fa un biscotto che se di tal sorte se ne facesse per le galere non vorreste far tua vita altrove, poco lontano di Pisa in un luogo detto Val calci mangierai le migliori ricotte, & le più belle, che mai si vedessero dal Levante al Ponente.
In Lucca essendo, oh che buona salsiccia, oh che grati marzapanetti ti sieno dati. Se gusti del Tramarino di S. Michele non te ne parti mai, egli ha proprietà uguale all’acqua di Poggio reale…
In Bologna si facciano salsicciotti, i migliori che mai si mangiassero, mangiansi crudi, mangiansi cotti, & a tutte l’hore n’aguzzano l’appetito, fanno parere il vino saporitissimo…
Che ti dirò della magnifica Citta di Ferrara unica maestra del far salami, & di confettare erbe, frutti e radici? Dove berai l’estate certi vinetti, detti Albanelle non si po bere più grata bevanda: vi si godeno di buone ceppe, sturioni, & buratelli, & fannosi le migliori torte del mondo…
Haverai in Modona buona salsiccia, et buon Trebiano:
Se ti verrà disio di mangiare perfetta cotognata, vatene à Reggio, alla Mirandola & a Correggio
Ma felice te, se giungi à quel Cacio Piacentino, il quale ha meritato d’esser lodato dalla dotta penna del conte Giulio da lando, & dal S. Hercole bentivoglio (5), mi ricordo haver mangiato con esso mentre in Piacenza fui, certe poma dette Calte, & un’uva chiamata Diola, & ritrovarmi consolato, come se mangiato havessi d’uno perfettissimo Fagiano. Usasi ancho in Piacenza una vivanda detta Gnocchi con l’aglio, laquale risuscitarebbe l’appetito à un morto.
Se avviene che passi per Lodi (Dio Buono) che carni vi mangerai, ti leccherai le dita ne mai ti chiamerai satollo.
Goderai in Milano di cervelato del peragallo cibo re de cibi, col qualle ti conforto mangiar delle offellette, & bervi dopo della vernaciuola di Cassano, d’Inzago e d’Avauro: goderai certi verdorini della buona degli arrosti: non ti scordar la luganica sottile, & le tomacelle di Moncia
e le trotte di Como, non li Agoni di Lugano, non le Herbolane, & Fagiani montanari, che da i deserti di Grisoni à Chiavenna capitar sogliono; non anche i maroni Chiavennaschi, non il cacio di Malengo, & della valle del Bitto, non le Truttalle della Mera.
Haverai in Padova ottimo pane: vino berzamino, Luzzatelli, & ranocchie perfette
Non ti debbo dire delli Poponi chiozzotti?
Delle passere, delle orate, ostreghe, cappe sante, & ceffali Vinitiani? Haverai similmente in Vinetia cavi di latte, uccelletti di Cipri, malvagia garba & dolce, & ottimo pesce in gelatina, che di Schiavonia addur si sole…
Buoni vini havrai nel Frioli, migliori in Vicenza, dove ancho mangerai prestissimi capretti,
Tacerò dirti de Carpioni di Garda?
Goderai à Trevigi trippe & gamberi del Sile de quali quanto più ne mangi, più ne mangereste…
Capitando in Brescia voglio da parte mia vadi al S. Giovanni Battista Luzago, overo al S. Ludovico barbisono, & dilli che ti dia bere di quella vernaccia, che gia piu fiate mi dettero: hanno i Bresciani oltre la Vernaccia di Celatica, moscatelli superiori alli Bergamaschi, et alli Brianceschi, et mi soviene che il consultissimo conte Camillo mene fece asagiar di uno che mai non assaggiai il migliore. Vi mangerai una vivanda detta di lor lingua Fiadoni belli da vedere, grati al gusto, odoriferi più che l’ambra…
Genova […] vi si fanno torte dette gattafure perche le gatte volentieri le furano et vaghe ne sono, ma chi è si svogliato che non le furasse volentieri? À me piacquero più che all’orso il mele, ò le pera moscatelle, mangerai delle presenzuole, de buoni fichi, & delle schiacciate fatte di pesche, & de Cotogni, berrai moscatello di Tagia tanto buono, che se in uno tinaccio di detto vino mi affogassi parerebbemi far una felicissima morte.
Manca il Piemonte, che entrerà a far parte del concetto d’Italia un po’ più avanti, e lascia sorpresi l’assenza di Roma – vero e proprio mercato d’Italia a giudicare dalla lettura dell’Opera dello Scappi del 1570 – ma ‘la proposta turistica di Ortensio Lando copre una bella fetta di Italia e dimostra un senso di appartenenza gastronomica dall’identità ben chiara’ come ben notano Capatti e Montanari (6).
Se proviamo a ricapitolare immagino che molti lettori si ritroveranno nelle specialità elencate, alcune delle quali godono oggi di marchi di protezione:
SICILIA
Maccheroni (da cuocersi con capponi, cacio fresco, zucchero e cannella).
PUGLIA
(Taranto)
Pesce in generale (da cuocersi con aceto, vino, erbe odorifere e salse di noci, aglio e mandorle).
CAMPANIA
(Napoli)
Pane bianco ‘di puccia’, Pane di S. Antimo, Cacio cavallo fresco (arrostito con zucchero e cannella), susamelli, mostaccioli, ravioli, pesci, funghi, castagni di zucchero, schiacciate di mandorle, pasta reale, conserve di rosa, biancomangiare e percoche puteolane.
(Sorrento)
Vitella (particolarmente pregiata in quanto pasciuta di sole erbette: timo serpillo, nepetella, rosmarino, spico, maggiorana, citornella, menta.
TOSCANA
(Siena)
marzapani, gratissimi bericoccoli (dolce tipico di farina e miele), e formaggi raviggioli.
(Firenze)
Caci marzolini (formaggi freschi di latte di pecora), pan pepato, Berlingozzi (sorta di ciambelloni), zuccherini, Vino trebbiano.
(Pisa)
Biscotti e ricotte.
(Lucca)
Marzapani, Tramarino di S. Michele.
UMBRIA
(Foligno)
Semi di melone confettati, piccicata (schiacciata dolce) e confetture.
EMILIA-ROMAGNA
(Bologna)
Salsicce crude e cotte.
(Ferrara)
Salami, Confetture, vino Albanella, anguille e storioni.
(Modena)
Salsicce e vino Trebbiano.
(Reggio Emilia, Mirandola e Correggio)
Cotognata.
LOMBARDIA
(Piacenza)
Cacio piacentino (Grana Padano), Mela Calta (probabilmente la mela verdona piacentina), uva Diola, gnocchi con l’aglio.
(Milano)
Cervellato del peragallo, offellette (pasta dolce), Vernaciuola di Cassano, d’Inzago e d’Avauro, luganica sottile, e le tomacelle (formaggi) di Moncia.
(Como)
Trota e carpioni del Garda.
(Chiavenna)
Herbolate (torte rustiche salate), fagiani e castagne.
(Malengo)
Formaggio.
(Padova)
Vino berzamino, rane e luzzatelli (?)
(Brescia)
Vernaccia, vernaccia di Cellatica, moscato, fiadoni
VENETO
(Chioggia)
Meloni
(Venezia)
Passera di mare, orate, ostriche, cappe sante, cefali, panna montata, Haverai similmente in Vinetia cavi di latte, uccelletti di Cipro (?), malvasia e pesci in gelatina (importati dall’est europeo, la Schiavonia)
(Vicenza)
Buoni vini e capretto
(Lago di Garda)
Carpioni
(Treviso)
Trippe e gamberi del Sile
FRIULI
Buoni vini
LIGURIA
Torta gattafura (o Torta pasqualina), pere moscatelle pera moscatelle, presenzuole (secondo il Dizionario Genovese-Italiano di Casaccia del 1876 trattasi di una specie di salsa derivata dal latte inacidito), fichi, schiacciate con pesche e cotogne, vino moscato di Tagia.
La seconda parte dell’opera del Lando, introdotta da proprio frontespizio e titolata Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano, et delle bevande che hoggidi si usano. Composto da M. Anonymo, cittadino di Utopia è esattamente quello che il titolo promette: una spassosa lista di inventori di cibi, modi di cucinare e bevande.
Il Catalogo è di molto interesse perché, pur attingendo quasi esclusivamente all’enorme fantasia del Lando (7), fra eziologie immaginifiche e personaggi improbabili, esso nasconde fra le righe importanti informazioni: ad esempio una contadina, una tale Libista, lombarda da Cernuschio ‘fu l’inventrice di far raffioli aviluppati nella pasta, & di spogliati detti da Lombardi mal fatti’ proponendoci così l’idea di un piatto che nasce dal popolo, e, più precisamente da un popolo di area lombarda e su quest’indicazione d’origine concorderanno poi sia lo Scappi sia il Messisbugo includendo nei loro ricettari ben più d’una torta e tortello con diciture quali ‘alla lombarda’. La figura di Libista o quella di Macharia da Cremona – inventrice dell’allora celebre nosetto cremonese – dimostrano, assieme alle molte altre inventrici di manicaretti di cui il Lando popola il suo Catalogo, l’esistenza di una cucina di Massaie e Fantesche nei ceti medio-bassi dell’Italia del tempo, ben nota al Lando e ai suoi lettori. Una cucina popolare che la sola lettura dei ricettari ortodossi, legati a corti e signori – leggasi cioè Messisbugo, Scappi e Romoli – non ci ha restituito, ma che di essi è l’imprescindibile base.
(1) La collezione creata in mezzo secolo dai coniugi Bon è stata messa in vendita all’incanto presso la casa d’aste parigina Collin du Bocage fra il 16 e il 17 giugno del 2022. L’esemplare ora in collezione Boscolo era descritto al numero di catalogo 82.
(2) Ortensio Lando, Commentario de le piu notabili, & mostruose cose d’Italia, & altri luoghi, di lingua Aramea in Italiana tradotto, nelquale s’impara, & prendesi estremo piacere. Vi si è poi aggionto un breve Catalogo de gli inventori de le cose che si mangiano, & si beveno, novamente ritrovato, & da Messer Anonymo di Utopia composto, In Vinetia, Al segno del Pozzo [Andrea Arrivabene], 1550. In-8°. Carte 75, [1]. Sulla vita e le opere di questo grande pensatore del Cinquecento si rimanda alla voce in DBI al link: https://www.treccani.it/enciclopedia/ortensio-lando_%28Dizionario-Biografico%29/ (ultimo accesso 31/08/2022 ore 14.00).
(3) Cristoforo Messisbugo, Banchetti compositioni di vivande, et apparecchio generale, di Christoforo di Messisbugo allo illustrissimo et reverendissimo signor il signor don Hippolito da Este cardinale di Ferrara. In Ferrara, per Giovanni De Buglhat et Antonio Hucher compagni, 1549.
(4) Qui il Lando fa riferimento alla possibile derivazione etimologica del termine Maccherone dal greco μακαρ, beato, forse in riferimento ad un tipo di cibo da consumarsi nei banchetti funebri o sacri.
(5) Ci si riferisce al celeberrimo libro di Giulio Landi, la Formaggiata di Sere Stentato al serenissimo re della virtude (Piasenza [i.e. Venezia]: per ser Grassino Formaggiaro [i.e. Gabriele Giolito De Ferrari], 1542), primo libro interamente dedicato al formaggio ed alla satira Del formaggio di Ercole Bentivoglio (all’interno di Le Satire et altre rime piaceuoli del signor Hercole Bentivoglio (Venezia, Gabriele Giolito De Ferrari, 1546).
(6) Alberto Capatti – Massimo Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura. Roma – Bari, Laterza, 1999, p. 23.
(7) D’altronde il Lando stesso si premura con classico topos letterario di difendersi dall’accusa di aver scritto il falso nel suo Catalogo nella Brieve apologia che chiude l’opera citando le sue iperboliche fonti! In realtà il Catalogo utilizza a modello il De rerum inventoribus (1499) di Polidoro Virgilio da Caravaggio, presumibilmente inizia la letteratura eurematica cinquecentesca, genere sviluppato dai modelli di Plinio, Gellio e Macrobio.