Giuseppe Ciocca, il più importante pasticciere italiano del primo Novecento, del panettone diceva: ‘esercita un fascino portentoso di golosità, non solo sui bambini, ma sulla fanciulla vezzosa, sulla donna galante e capricciosa, sulla signora matura e grave, sull’uomo rude, insomma su tutti’ (Giuseppe Ciocca, Il Pasticciere e Confettiere Moderno, Milano, Hoepli, 1907). Ma quando nacque questo ‘fascino portentoso di golosità’?
Si può dar credito alla leggenda che lega il panettone ad un errore occorso nelle cucine di Ludovico il Moro, signore di Milano, alla vigilia di Natale: Il cuoco di casa Sforza avrebbe bruciato per dimenticanza il dolce che doveva servire al banchetto e lo scopatore, un certo Toni, per rimediare all’errore, avrebbe deciso di sacrificare il panetto di lievito che s’era tenuto il serbo per il suo Natale per rimediare al guaio. Lavorandolo con farina, uova, zucchero, uvetta e canditi, fino a ottenere un impasto soffice e ben lievitato; il risultato conquistò il palato gli Sforza che, in onore del suo inventore, vollero chiamare questo nuovo dolce il “pan de Toni”, da cui “panettone”. A parte questo mito fondante la preparazione del panettone risale con ogni probabilità all’abitudine medievale di mettere in tavola pani burrosi e ricchi durante il “rito del ciocco” nelle vigilie di Natale.
Se vogliamo parlare di storia, invece, quel che è sicuro è che la prima preparazione dolce in qualche maniera assimilabile al Panettone, è rintracciabile nei Banchetti di Cristoforo da Messisbugo, editi per la prima volta a Ferrara nel 1549. Non ci credete? Ecco qua la ricetta Per fare Cinquanta pani di Latte e Zuccaro di Oncie nove l’uno:
‘Fatto che averai la tua sconza o levaturo (lievito), pigliarai di fiori di farina burattata (setacciata) libbre 35 e tanto meno, quanto meno sarà quella di che averai fatto il levaturo (lievito) e libbre 6 di zuccaro ben bianco, e torli d’uova 75, e libbre 3 d’acqua rosata, e libbre 6 di latte fresco, e oncie 6 di butiro (burro) fresco; e impasterai il tuo pane. Avvertirai bene che l’acqua o latte non scottasse e farai ancora che I torli d’ova sian caldetti, e li scalderai, ponendoli nell’acqua calda. E gli porrai il conveniente sale, e farai la pasta sì che non sia né dura né tenera, ma più tosto che abbia del saldetto. E la gramarai molto bene e poi farai il tuo pane e lo lasciarai ben levare. E lo cuocerai con grande ordine, sì che non pigli troppo fuoco, ma che al tuo giudizio stia bene. E questo pane è più bello a farlo tondo e intorto o in pinzoni. Sia dopoi più grand eo più picciolo, come tu vorrai. Ti governerai adunque secondo questo modo, che è provato’.
Varrà forse anche la pena precisare che questa ricetta appare preparata per un menù di una ‘cena domesticamente fatta’ al 21 di novembre del 1532, non troppo lontano dal Natale quindi!
Altra certezza è che, all’interno di un dizionario milanese-italiano stampato nel 1606 (Giovanni Capis, Varon Milanes de la lengua de Milan, Milano, Giovanni Giacomo Como, 1606) troviamo la prima menzione a stampa del nostro dolce, nominato come ‘panaton de danedaa’ e cioè ‘Pan grosso, qual si suole fare il giorno di Natale, per Metafora un inetto, infingardo, da poco’.
Per vedere però la prima ricetta a stampa di un vero panettone bisognerà attendere il 1868 ed il grande chef Giovanni Nelli. Difatti è nel suo Il Re dei Cuochi (Milano, Felice Legros, 1868) che appare, al numero 1837, il Panettone alla milanese o Panettone à la milanaise, dato che come molti ricettari dell’epoca i titoli delle ricette vengono forniti in doppia lingua: italiana e francese. Vediamola da vicino:
‘Provvedete dal fornaio un ettogrammo di lievito che non sia troppo acido ed amalgamatevi assieme con acqua tiepida un ettogrammo di farina di semola di prima qualità, in modo d’averne una pasta alquanto sostenuta che coprirete e porrete a levare in sito tiepido; dopo tre ore mettetela di nuovo sulla tavola, aggiungete un altro ettogrammo di farina e con acqua tiepida formate la pasta, che lascierete ancora levare per tre ore; dopo di che mettetela sulla tavola, aggiungete 650 grammi di farina di semola, un pochino di sale, 6 uova, 160 grammi di burro appena sciolto e 160 grammi di zuccaro; lavorate con diligenza, ed ottenutone una pasta piuttosto soda, amalgamatevi assieme 50 grammi d’uva sultana, 50 grammi di cedrato tagliato a dadolini, e un po’ di burro fuso. Riunite la pasta quasi a forma di cupola e riponetela su una lastra di rame; mettetela nella
stufa ben temperata, e quando sarà raddoppiata di volume e si presenterà resistente al tatto, ma tremolante, praticatevi al di sopra col coltello una leggiera incisione disegnando dapprima un quadrato ed in mezzo a questo una croce. Mettetelo nel forno che avrete dapprima riscaldato fortemente e di poi abbassato a calore regolare, e cuocetelo di bel colore castagno chiaro. Ritiratelo dal forno e lasciatelo raffreddare. Il panettone, tanto più se grosso, riesce migliore a mangiarlo il giorno seguente. Colla stessa pasta si fanno piccoli panettoncini, tranne che li cuocerete in breve tempo a forno più vivace’.
Ed è con questa ricetta che comincia il grande successo commerciale del Panettone. Poi arriverà Giuseppe Trabattoni, il grande Maestro del Panettone e codificherà, una volta per tutte, il Panettone ed il Panettone secondo la maniera Ambrosiana (articolo disponibile cliccando qui). Vi ricordate di Giuseppe Ciocca, la figura con cui abbiamo aperto il nostro articolo? Chiudiamo il cerchio ammirando – qui a destra o sotto se leggete su cellulare! – alcune illustrazioni da lui proposte di decorazioni per panettoni, tratte dall’edizione del 1941 (Milano, Hoepli) del suo capolavoro Il Pasticciere e Confettiere Moderno.
Rossano Boscolo