Vino, Polpette e Bistecche: Un Medico in Cucina!

Post, Ricetta

Oggi vogliamo farvi conoscere una curiosa ed importante figura della ‘cucina di sanità’ della fine dell’Ottocento. Un medico gourmand che rintracciò nel vino, nella bistecca e nelle polpette le basi per una lunga e sana esistenza! Come al solito lo faremo analizzando la sua opera principale, dalla quale vi regaleremo anche due ricette epiche!

Il Medico in Cucina, ovvero perchè si mangia e come dobbiamo mangiare. Milano, presso Emilio Croci Editore Via Nerino, n. 5, [1881]

Edizione originale di questo curioso trattato di dietetica del medico Pistoiese Oscar Giacchi. L’opera, introdotta da una ironica e storicizzata dedica alla moglie, e prefata da un intero capitolo esplicativo dei principi teorici che ne hanno mosso la composizione, è ricca di ricette e consigli per mantenersi in salute, o per riacquistare la salute perduta. Fra le convinzioni dell’Autore è da ricordare quella che riguarda l’uso delle polpette come panacea di tutti i mali: “Le polpette fabbricate senza miseria di ingredienti sono davvero un bocconcino che si mangia volentieri; ma viceversa poi, facendone un uso giornaliero, vengono a noia presto, come ne fanno fede quelle povere famiglie che hanno la disgrazia di avere in casa da più giorni un ammalato. Questa vivanda di compenso e così comune in questi casi dolorosi che propongo l’aggiunta di un nuovo proverbio popolare: malato al letto, polpette in tavola“.

Giacchi, Medico in Cucina, 1881

D’altronde, da buon toscano, Giacchi riteneva che la carne fosse “da preferirsi assolutamente la vaccina ed in particolare la bistecca… la più potente di tutte le pietanze, balsamo salutare dei poveri di forze, farmaco destinato a brillare”. Ma un posto di rilievo spettava anche all’arrosto, al lesso e persino alla selvaggina che “è un eccellente pasto per i deboli convalescenti, quando la borsa lo permette, un fagiano, una pernice, un beccafico, un ortolano sono bocconcini sostanziosi e saporiti che fanno saltare di allegria un povero diavolo, e specialmente un diavoletto, che per molti giorni non poté stringere tra i denti che brodoloni di semolino e pangrattato”.

I principi dietetici del Giacchi non sono sempre condivisibili, come ad esempio l’utilità del vino ”alimento e medicina insieme”, per il quale afferma: “…guai al babbo sconsigliato che, credendo di far bene, privasse il suo bambino rifinito da recente infermità di questo nettare dei poveri mortali, che vi trovano un sollievo alle fatiche e alle pene della vita”. Il Medico in Cucina godette di buone fortuna editoriale e fu più volte ristampato fino alla prima metà del Novecento. Lusinghevole il ritratto del Giacchi e la recensione del Medico in Cucina tracciati da Alberto Cougnet nel suo celeberrimo Il Ventre dei Popoli: ‘Del resto, che i fiorentini siano sempre dei buoni cuochi, e dei fini buongustai basterebbe a dimostrarlo il brillante collega Dr. Oscar Giacchi, che nei suoi articoli sulle principali riviste nostrane o Magazines (come dicono gl’inglesi), ma specialmente nel suo aureo libro Il medico in cucina indicò una serie di vivande prelibate e di sapore affatto fiorentino, anche per il lepore col quale vengono descritte, tanto da diventare condite con una vera salsa piccante, per salacità e lepidezza. Cito, fra le tante, oltre il cappone principesco (col farcito di acciughe salate e tartufi), la bistecca tacconata del florido prevosto D.Antonio, col quale il Dr. Giacchi faceva le srondonate‘.

Medico in Cucina: l'ironica e storicizzata prefazione

Vogliamo dare un’occhiata alle ricette che tanto avevano emozionato il Cougnet? Bene, eccole qua:

Cappone principesco
Pesta nel mortajo quattro acciughe senza lisca con un bel bioccolo di burro e tartufi di Norcia o di Piemonte, bagnando l’impasto con un buono spruzzo di succo fresco di limone. Passa quindi al setaccio questa salsa, e riempi con essa il ventre del cappone; ricuci alla meglio l’apertura; infilzalo allo spiede e cuocilo colle regole già note, non dimenticando di pillottarlo col presciutto e di unguerlo spesso con olio d’oliva o con butirro. (p. 113)

Bistecche tacconate
Prendi una bella bisteccona, e dividila con quattro tagli profondi e trasversali in quattro strati in modo che sembri un libretto di sole quattro pagine; colloca fra un foglio e l’altro una bella fetta di presciutto affumicato e quattro o cinque fettucce di tartufo, un po’ di pepe per odore e quindi chiudi questo carissimo libercolo e trapuntalo con ago infilato di refe o di cotone nella stessa maniera che i calzolai di campagna tacconano i suoli delle scarpe ai loro rustici clienti. Allora non avrai che metterla al treppiede, darle la solita untatina e cuocerla colle stesse cautele che richiede una democratica bistecca. (p. 88) Il risultato ultimo della bistecca tacconata? ‘Assaggiala una volta, e ti assicuro, lettor mio, che in vita tua non avrai mangiato tanto bene’ (ibid.)

Pura poesia!

Partendo dal presupposto che avreste voluto leggere più curiosità su quest’opera, Giulia Gianviti l’ha spulciata per voi:

‘Dalla Cucina di sanità incentrata sugli insegnamenti di Galeno ed Ippocrate alla Dieta Mediterranea, l’essere umano ha sempre cercato di trovare il giusto compromesso fra il mantenimento della propria salute ed i vizi della gola.

Risulta curioso come ne “Il Medico in Cucina, ovvero perché si mangia e come dobbiamo mangiare” di Oscar Giacchi (1881) tale equilibrio si andava a ricercare ancora secondo alcuni dettami della teoria umorale ed altri, invece, secondo la nuova scienza della Chimica degli Alimenti. Quel che ne esce è un trattatello semplice e chiaro sul come si dovrebbe mangiare, con tanti aneddoti e poche ricette, o meglio, quanto necessario a “preparare i piatti più comuni e più salubri, in modo che resti il meglio possibile soddisfatto il palato e tutelata la salute del povero e del ricco, dei quali” l’autore ci tiene a precisare “m’interesso collo stesso zelo e colla medesima premura”.

Ma di cosa si parlava in un libro di Dietetica, all’epoca  Igiene, verso la fine dell’ottocento? Quanti consigli risultano essere validi ancora oggi? Ma soprattutto, con che spirito venivano scritte queste pagine?

Sinceramente mai mi sarei immaginata di potermi imbattere in una lettura così scorrevole, di gusto e soprattutto d’intrattenimento o, come si direbbe oggi, di edutainment (imparare divertendosi n.d.r.). Tra un’informazione scientifica e l’altra, infatti Oscar Giacchi non manca di riportare numerosi aneddoti, pensieri e curiosità legati al mondo della cucina.

Come non citare il modo migliore per bere voluttuosamente una bottiglia di Barbera o Barolo? Secondo i piemontesi, e il nostro autore può confermare, non c’è metodo più sicuro se non quello di accompagnare questa deliziosa bevanda a dei cardi curdi ed intinti nella bagna cauda.

E a proposito di piatti tradizionali, dove mangiare un buon brodetto di pesce, quel che in Toscana viene chiamato con il nome di caciucco? Immaginerete a Livorno, no? Eppure il nostro Giacchi ci avverte che in realtà il migliore lo si può trovare nelle Marche, dove è possibile “apprezzarne i pregi singolari”.

Andando invece oltre i confini nazionali, menzionando i sauer-kraut tedeschi e la choucroute francesi, il nostro medico ci avverte di come i cavoli, ma in generale le crucifere, siano dei prodotti con più inconvenienti che altro e, per questo motivo, sarebbe preferibile il consumo delle rape. Non manca d’altronde di ricordare come tra le crufiere “il cavolo sarà sempre un cibo indigesto e flatulento, e non vi fosse altro rimprovero da fargli vi sarebbe pur sempre quello delle cattive esalazioni che spande nella sua cottura, e che riempono la casa di un odore così ignobile che inspira a primo acchito l’idea della miseria”.

Se per evitare questo odore indigesto il nostro medico non ci ha lasciato alcun consiglio, lo stesso non si può dire per quello degli asparagi: “Purtroppo in certe speciali circostanze questa impertinente proprietà (l’odore dell’urina dopo aver mangiato gli asparagi, n.d.R.) potrebbe dar luogo a qualche inconveniente; ma l’arte che corregge la natura ha pensato a scongiurarlo con poche gocce di trementina versate in quel vaso che non è certo un vaso etrusco”.

E per quanto riguarda i consumi? Cosa è cambiato nel tempo?
Di certo non esiste più la gerarchizzazione degli alimenti, ossia quella catalogazione degli alimenti che, dal punto di vista nutritivo, ti permetteva di definire quale prodotto fosse migliore o peggiore di un altro (oggi vige la variazione dei consumi), mentre in termini politici, quale alimento fosse destinato più al povero che al ricco. Nonostante questo passo avanti però è curioso notare come ad oggi le lenticchie vengano spesso soprannominate “la carne dei poveri”, quando fino a poco più di un secolo fa il Giacchi ci ricorda di come queste venissero considerate “un pasto più signorile che plebeo”, per via del prezzo piuttosto elevato dato dalla scarsa resa che erano solite procurare.

E che dire del fatto che una volta gli alimenti assolvevano alla funzione di vere e proprie cure mediche? Ad oggi dire una cosa del genere sarebbe assurdo, eppure una volta veniva prescritta come cura il consumo esclusivo di latte per almeno 4-5 mesi in caso di malattia cardiaca, o di uva raccolta direttamente dalla vite per almeno un mese in caso di scrofola e tisi (i tedeschi avevano persino creato dei veri e propri stabilimenti per la cura della scrofola chiamati Hauptkeur, praticamente delle vigne in cui “i malati di scrofola e tisi si pascono come altrettanti pecoroni”).

Per quanto riguarda le differenze sugli usi e consumi degli alimenti tra la fine dell’ottocento ed i giorni nostri, perché non parlare della frutta secca? Nostra cara alleata della salute, le cui virtù sono decantate da decenni e in ogni dove. Ma lo stesso non era per il medico Giacchi, il quale dedica ben due pagine del suo libro a spiegare come, se mangiati al posto della frutta, questi alimenti sarebbero estremamente pericolosi per il nostro cuore. Se a mandorle e pistacchi il loro uso è solo da riservarsi al condimento di alcuni dolci, le nocciole il nostro medico le “bandirebbe addirittura dalla tavola, specialmente per ragazzi e per le persone delicate”.

Stessa sorte per i formaggi, il cui consumo oggi si consiglia moderato e, in base alla stagionatura, in porzioni inversamente proporzionali. Giacchi consiglia di consumare preferibilmente quelli stagionati, in primis perché “quanto ai caci freschi possiamo dire che servono meglio alla riproduzione del pannicolo adiposo che a quella delle carni” e poi perché “ricchi di azoto ed alquanto stimolanti” e proprio per questo motivo “quest’ultima loro proprietà è quella che li rende meritevoli di essere accolti con piacere all’ultimo del pranzo”; quindi dunque non solo stagionature, ma anche frequenze di consumo completamente opposte a quanto consigliato oggi.

Per farvi poi conoscere al meglio quel che è il temperamento eclettico del Nostro, vogliamo lasciarvi la sua teoria in merito all’abitudine di consumare confetti in occasione di matrimoni e battesimi… “La società che, press’a poco, subì sempre le medesime vicende, avendo capito, fin dai tempi più remoti, che l’uomo e la donna maritandosi, più presto o più tardi, dovevano succinarsi dei bocconi molto amari, ebbe probabilmente l’idea pietosa e felicissima di tenere a bocca dolce gli sposi il primo giorno e di inzuccherare le labbra del babbo e della mamma alla nascita di un figlio che a tempo e luogo gli frutterà molte amarezze. E quanti sposi, e quanti babbi e mamme non maledicono di cuore ai confetti gustati in quelle circostanze, che il popolo chiama avventurate, e quanto più volentieri, tornando indietro, prenderebbero invece una manciatina di quelli di arsenico o di stricina che fabbrica l’amico Erba nel suo vasto laboratorio farmaceutico a benefizio – almeno si dice – degl’infermi!”.

E chiudiamo con l’astio, ancora molto attuale, rivolto al caffè di cicoria, o meglio “quella polvere di ignota provenienza che osa chiamarsi caffè di cicoria, senza chiedere l’ombra di permesso né alla cicoria, né al caffè”, che insieme a ceci, grano e lupini abbrustoliti viene utilizzato da farmacisti e caffettieri per addolcire il forte sapore del caffè dell’Arabia.

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